Mai e poi mai (ma mai dire MAI) avrei pensato di scrivere un post come quello che segue.
A mettermi in confusione è bastata una manciata di giorni passati ad occuparmi di un piccolo animale peloso che, in quattro e quattr’otto, ha smesso di essere quello che è sempre stato. Sto parlando della gatta di mia sorella che da ribelle e animale libero come l’aria, gran cacciatrice a cui non sfuggivano topi grandi o piccoli, terrore dei merli che l’avvistavano fischiando per avvisare del pericolo imminente. Lei, felino furbo e svelto nell’aggirare l’attenzione dei volatili per aggredire i poveri pettirossi confidenti presenti nel giardino, non ha potuto evitare l’imprevisto: un piccolo trombo ha otturato la sua arteria femorale esile come uno stelo di forasacco, occludendola e lasciandola paralizzata nelle zampe posteriori fino a che, gatta combattiva, deve aver pensato che era arrivato il momento che i pettirossi e i merli (purtroppo per noi, anche i topi) avessero via libera e si è lasciata andare via. Non sono valse le cure, il cuscino caldo, l’acqua data a gocce per non disidratarla. Niente, lei si è accoccolata sul tappetino, non ha più guardato nessuno e in pochi giorni se n’è andata.
Non sono molto indulgente con gli animali e non amo l’umanizzazione dei cani e dei gatti, per farla breve: mi piacciono gli animali tenendo con loro un certo distacco, insomma non sono un’animalista o una patita dei quattro zampe.
Ma…
La Micia mi piaceva perché riassumeva quello che penso degli animali domestici: mantenere un certo carattere senza farsi sopraffare dalla vita casalinga. Lei era così: indipendente, usciva di casa, non rientrava finché non fosse ora (questo lo decideva lei anche se ti sgolavi a chiamarla) di mangiare qualche boccone o i croccantini, o starsene al calduccio. Certe sera dormiva fuori casa, non si è mai capito dove. Se la squagliava se ti avvicinavi troppo mentre mangiava o mentre se ne stava sdraiata tranquilla al sole. Non voleva le coccole da gatto istupidito e poltrone, si avvicinava lei quando voleva e se lo desiderava. Solo allora ti permetteva di accarezzarla o di prenderla in braccio, altrimenti erano unghie in vista. Micia di carattere. Gatto da caccia e indipendente. Grande arrampicatrice e saltatrice, il giardino il suo regno, i giardini dei vicini regni conquistati nei suoi undici anni di permanenza tra noi.
Dicevo all’inizio, sono bastati pochi giorni in cui, vista l’assenza di mia sorella, mi sono occupata di lei, della sua distaccata presenza, ed infine del suo tracollo e della sua ostinazione a non cedere fino a non poterne più e lasciarsi andare.
Cosi, in un momento in cui sta succedendo di tutto, dove i vuoti si stanno susseguendo a gran ritmo, questa improvvisa mancanza di un piccolo essere che girava per il giardino più che per casa, mi ha lasciato un senso di solitudine. Ogni essere vivente con la sua presenza quotidiana ci regala qualcosa, fosse anche un gatto e la sicurezza di esserci, noi per lui e viceversa.
O forse sono io che non sono più la stessa, e questi momenti fatti di vuoti più che di pieni, ecco che la scomparsa della Micia ha solo acuito il senso di vuoto che da un po’ mi porto dentro. Sarà che mascherina, distanziamento e gel disinfettante sono complici di troppi vuoti, sarà che siamo vicini al Natale ma che mancherà il rito di festa, sarà che parlare in video con la mia famiglia che sta dall’altra parte del mondo non riesce a riempirmi come vorrei, sarà che si sta come quelli sospesi tra il giallo, il rosso o l’arancione con abbracci mancati, dei baci non parliamone, delle presenze amichevoli ridotte ai minimi termini non facciamo neppure menzione.
Cosi mi spendo tra una torta di mele e un disegno, un libro da leggere, una lezione di Storia on line e la cura di mia mamma. E, mentre cerco di riempirmi come posso, c’è un buco da qualche parte che non riesco a trovare, dove tutto il pieno che introduco esce piano piano. Come in una clessidra che si svuota sopra ma, per fortuna, si riempie sotto, forse devo solo aspettare che ogni granello si infili nello stretto passaggio e si ammucchi sotto uno sull’altro e capire che basta cambiare prospettiva, capovolgere le ampolle per ricominciare tutto daccapo, perchè tutto ritorni come era.
Vilma (in attesa del Grande Yang)